L’uomo è il rifugio più fragile per l’uomo.
(Nicolás Gómez Dávila)
«Vincere non è importante; è l’unica cosa da fare!», diceva un noto sportivo italiano. Affermazione perentoria che non lascia spazio ad equivoci ed esprime emblematicamente un clima culturale dove parole come performance, rendimento, efficacia, massima utilità, potenza, prestazione sono le direttrici fondamentali di ogni prassi, compresa quella economica.
Viceversa, parole come errore, fragilità, sbaglio, precarietà, fallimento, sono considerate deprecabili e da togliere dal vocabolario, se si potesse. Se non che, l’antico proverbio «errare humanum est» e l’esperienza quotidiana del vivere ci ricordano che, prima o poi, in diversi modi, in ogni ambito della vita, singole persone, famiglie o gruppi fanno esperienza di uno scarto, di una mancanza, di una fragilità, di un fallimento, a volte imputabili ad errori personali, a volte derivanti da ingranaggi sociali, economici e storici.
Il percorso che viene proposto dal Centro Pastorale Frassati della LIUC, in collaborazione con la Scuola di economia civile (SEC) di Loppiano, mira a sondare diverse sfaccettature dell’esperienza del fallire, rilevare e approfondire il significato antropologico dell’esperienza della precarietà, dipanare orizzonti di senso e di riscatto.